“Occhio bionico”, per 5 non vedenti recupero parziale della vista

Grazie a un occhio bionico, cinque persone non vedenti a causa di una forma ormai terminale di maculopatia, malattia retinica molto diffusa negli anziani, hanno riacquistato, anche se solo ancora parzialmente la vista, riguadagnando un minimo di autonomia (riescono a vedere caratteri molto grandi e anche sequenze di lettere).

Sono risultati del progetto PRIMA, i primi a 12 mesi dall’impianto dell’ occhio bionico che consiste in un microchip retinico che riceve le immagini da una telecamera fissata su speciali occhiali e le traduce in impulsi nervosi che attraverso il nervo ottico arrivano al cervello consentendo la visione. Annunciati la scorsa settimana dalla società francese Pixium Vision, si tratta di risultati incoraggianti, commenta in un’intervista all’ANSA Andrea Cusumano, ricercatore in oftalmologia presso l’Università di Tor Vergata e consulente medico scientifico del progetto PRIMA.

Il progetto PRIMA, spiega Cusumano, «è volto a ripristinare una visione artificiale in pazienti non vedenti mediante una protesi retinica ideata e inizialmente realizzata da Daniel Palanker, della Stanford University. I dettagli di questa prima sperimentazione saranno resi noti anche in occasione del Macula Today 2019, il convegno organizzato dalla Macula & Genoma Foundation Onlus, che si terrà a Roma il 30 settembre, anticipa Cusumano. L’ occhio bionico – aggiunge Cusumano – funziona grazie a un microchip costituito da 378 ‘fotodiodì miniaturizzati, con dimensioni totali di soli 2 millimetri di lunghezza e larghezza. Impiantato sotto la retina, è in grado di sostituire i ‘fotorecettorì retinici mancanti nei pazienti con degenerazione maculare legata all’età (AMD) di tipo atrofico allo stadio terminale di malattia, restituendo in parte la funzionalità visiva persa e, con essa, un maggiore grado di indipendenza e autonomia».

La maculopatia è la degenerazione della parte centrale della retina, indispensabile leggere, guidare, riconoscere i visi etc: la forma atrofica (oltre l’80% dei casi) è attualmente incurabile anche se nuove speranze arrivano da studi clinici con uno speciale laser. I 5 impianti sono stati effettuati presso la Fondation Ophtalmologique «Adolphe de Rothschild» di Parigi e al primo intervento ha preso parte anche Cusumano. L’impianto della protesi è riuscito e non ha alterato in alcun modo la visione «residua» dei pazienti (più precisamente la visione periferica). Durante la successiva riabilitazione, nei pazienti si è avuto un graduale aumento della percezione visiva, fino al riconoscimento di forme, lettere e numeri.
«Grazie agli straordinari risultati – sottolinea Cusumano – la FDA ha già autorizzato la prosecuzione dello studio negli USA dove stanno per essere impiantati altri 5 pazienti s presso l’Università di Pittsburgh e il Bascom Palmer di Miami. Se i risultati saranno confermati – conclude – speriamo di iniziare quanto prima uno studio multicentrico più ampio, cui dovrebbe partecipare anche l’Italia, finalizzato a ottenere per PRIMA il marchio CE, che significherebbe poter offrire a milioni di persone la possibilità di un recupero di un certa funzionalità visiva fino a poco fa nemmeno ipotizzabile». Questa metodica, sottolinea Cusumano, si potrà rivolgere anche al trattamento dei pazienti affetti da malattie genetiche della retina, prima fra tutte la retinite pigmentosa.

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